La pittura di paolo Cervi Kervischer rappresenta, nella nostra regione, un interessante esempio di come la personale interpretazione dell'insegnamento accademico alla luce della grande tradizione del tonalismo veneto si possa agevolmente collegare ad alcuni aspetti (a lui più congeniali) della cultura artistica internazionela (Rothko, Twombly) a produrre una maniera nel contempo di ampio respiro cosmopolita e nel contempo di saldo attaccamento alle proprie radici culturali. Tale predisposizione, che è europea, o meglio mitteleuropea, non a caso ha trovato un favorevole riscontro di ascolto particolarmente in Austria e Yugoslavia, ma costituisce anche di sicuro viatico per orizzonti più ampi, di cui si intravvede già qualche significativa apertura.
L'esperienza artistica di Paolo Cervi si è svolta anche al di fuori, ma sempre in connessione, con la pittura vera e propria, con interventi nel settore della fotografia creativa e combinata (per cui ha avuto particolari riconoscimenti in Yugoslavia) e nel campo delle installazioni e delle performance: di queste merita ricordare almeno la partecipazione al Party Multimediale organizzato dal Gruppo 78 a Trieste nel Febbraio del 1983, l'installazione sul tema della Via Crucis nella Cappella del Crocifisso di Muggia nell'aprile del 1980, nonchè la rassegna "Dove il corpo può spaziare", organizzata a Udine dal Teatroall'Aria nel Maggio del 1983.
Tale molteplicità di interessi ed operazioni è stata infine ricondotta alla dimensione totalizzante dell'atto del dipingere fondendo in sintesi eletta manualità e concettualità, portati dalla tecnologia moderna e dell'artigianalità tradizionale ( e tutti gli altri termini contrapposti che ci sono e che si abbia la voglia ed il tempo di individuare). I lavori recenti cono come degli ampi spazi aperti in cui si svogle, quasi magmaticamente, una cromia calda, affocatae pulsante, che diviene visualizzazione della vertigine che ci coglie a fissare gli occhi nel vortice, o nella voragine dell'esistenza. Ma lo sguardo, gettato nell'immenso fiume della "calda vita" rischia quasi, come risucchiandola, di coinvolgere tutta la personalità, con conseguente perdita di identità in un annegamentonel tutto. Ed ecco allora apparire la certa forma del triangolo a cui abbarbicarsi con residui di scrittura, nella volontà di certificare la propria presenza; ed ecco allora apparire dei segni argentei, che sono nel contempo fluire d'acqua rigeneratrice e scala per possibili risalite, in un incessante e continuo rapporto problematico tra il sè e l'altro da sè, tra l'io e il non io, fra il soggetto e l'oggetto.
Questa concezione quasi filosofica della pittura, non nei contenuti, ma nei modi (e che fu molto apprezzata recentemente in Austria), è il risultato, per oraraggiunto, di una progressiva derazionalizzazione delle esperienze artistiche che il pittore ha compiuto qualche anno fa. Infatti il calore affocato degli sfondi era prima incorniciato da precise compiture nere, il triangolo campeggiava esatto nel riquadro, nel grafismo fermentava proliferante in una concezione complessiva di sintesi degli opposti. Ora invece, liberate le pulsioni più vivaci in un rapporto quasi panicocon la complessa multiformità dell'esistenza, l'operazione incomincia a diventare contraria con il bisogno di un aggancio ad "ubi consistam" per non perdere nè la propria identità nè un rapporto genuino, perchè immediato, col mondo.
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