Piccolissimi a scuola di pittura: arte e gioco per diventare Picasso

di Marina Nemeth

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Uno pensa di iscrivere il proprio figlio, a cui piace tanto “pasticciare” con i colori, ad un corso dove possa sfogare la sua creatività  senza limiti e regole. Dove imbratti a proprio piacimento tutto quello che gli capita fra le mani. Grave errore. Dettato da un immaginario collettivo che dà  per scontato che ai bambini, soprattutto in tenera età , sia inutile insegnare. Quanto tutto questo sia un “pre-giudizio” lo si coglie soltanto salendo a fatica i quattro piani di scale  di un antico palazzo di via Mazzini (o avventurandosi, se non si è troppo claustrofobici, in un cigolante ed improbabile ascensore). Qui, con vista sugli abbaini della città, ha sede il Laboratorio del pittore triestino Paolo Cervi Kervischer. E qui, ogni venerdì pomeriggio, si ritrova il gruppo di giovani virgulti (dai 4 ai 12  anni) della sua scuola di disegno e pittura. Attraversando un dedalo di corridoi tappezzati di manifesti, quadri, locandine; guidati dall’odore di trementina, si entra in un mondo misterioso e allo stesso tempo rivelatore. In una grande stanza dove si muove “atleticamente” la pittrice ed insegnante Laura Utmar, destreggiandosi fra richieste su come si compongono i colori (“Maestra, l’arancione?” “Rosso mescolato con il giallo!”), o su quali pennelli usare, otto bambini ritraggono un Van Gogh. Per essere pi๠precisi, la sedia, uno dei grandi capolavori dell’artista olandese. Ognuno lo fa a modo suo. Chi disegnando prima il contorno, e chi usando il pennello direttamente. Chi copiando fedelmente, e chi cambiando a proprio piacere le tonalità . Il risultato è sorprendente. Una bambina di sei anni, arrivata alla scuola perché considerata “negata” nella materia del disegno, interpreta in modo assolutamente originale, anche se assolutamente fedele, l’opera. Altri, dopo aver messo su carta linee e figure, aggiungono un proprio tocco personale di cromatismo. I giovanissimi “artisti” Felipe, Juan  e Carlotta sono invece alle prese con  Gauguin, mentre Jakob è un patito di Picasso e dei suoi Arlecchini. Assorti nei loro lavori, tinteggiano grandi fogli e impastano con maestria i colori sulle tavolozze. Si ride, si scherza,  soprattutto si gioca. Ma la consapevolezza di un impegno e la concentrazione sono palpabili. “L’idea di un Laboratorio di pittura per bambini “spiega Paolo Cervi Kervischer” nasce dalla constatazione che, normalmente,  in  campo artistico, si considerano i piccolissimi incapaci di assimilare concetti complessi. In realtà , in questa fase, il bambino è molto ricettivo. E’ sbagliato dargli un pennello in mano e lasciargli fare quello che vuole. Sono necessarie, al contrario, delle regole precise. Lui capisce subito che c’è una logica in tutto questo, sia pure una logica emotiva”. Non è dunque un problema di predisposizione. Tutti, in questo senso, “sono predisposti”. Non solo, tutti captano l’idea generale “che esiste la possibilità  di esprimersi. Che, nella vita, non si è sempre solo spettatori o fruitori, ma si può essere anche attori”. Paradossalmente la strada per arrivare a questa consapevolezza è proprio copiare: opere d’arte famose, ma anche vasi, fiori, strutture geometriche.  Il concetto diventa chiaro entrando nella stanza dove lavorano gli allievi pi๠grandi: tre bambine, dai 10 ai  12 anni, stanno riproducendo a matita  alcune figure geometriche. Caterina, 10 anni (che ha già  conquistato due primi premi in concorsi d’arte per ragazzi), Irene e Margherita, 12 anni, hanno il piglio e la serietà  di una Accademia di Belle Arti. Usano la matita a braccio teso per misurare le proporzioni, ombreggiano con attenzione i loro lavori. Chiedono un aiuto e poi cancellano e rifanno testardamente le parti che considerano mal riuscite. “Sono venuta qui” dice Irene, quinta elementare “perché a scuola nell’ora di disegno coloriamo soltanto fotocopie e mi annoiavo”. Come non darle ragione sbirciando sopra il suo foglio, dove precisione e originalità  si coniugano perfettamente?. “Il disegno” conclude Kervischer “è la base di tutto. Un po’ come in medicina. Ci si specializza in un settore solo quando si conosce tutto il corpo umano. Del resto, pensiamo solo a Picasso: prima di arrivare al cubismo il suo pennello è passato attraverso una pittura assolutamente realistica e classica”.

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