“Tutti frutti. Il coniglio non ama nessuno” - Potrebbero essere parole venute a galla come libere bollicine nella mente di Leopold Bloom, o rimaste casualmente imprigionate nel groviglio del Merzbau di Schwitters. Invece si tratta del titolo dell’installazione con la quale Paolo Cervi Kervischer partecipa alla “Cena d’artista” organizzata per venerdì 19 marzo dalla Associazione culturale “Ai Colonos” di Villacaccia di Lestizza (UD) in collaborazione con l’Associazione “Artspace”. Nell’approssimarsi dell’equinozio di primavera, il progetto propone agli attori e agli spettatori della serata un momento di giocosa ma meditata celebrazione del cibo e dei suoi legami –simbolico-alchemici, formali e sensitivi – con il corso delle stagioni nel penire di Natura. Nei limiti di tempo della intera giornata del 19 marzo i partecipanti sono quindi chiamati ad agire a livello di elaborazioni di cucina creativa o di interventi scenici e decorativi, di riflessioni sulle antiche o recenti contaminazioni fra arte e cibo o di reinterpretazioni visive degli alimenti e degli oggetti di arredo del desco; perché proprio intorno alla tavola imbandita l’evento trova il proprio momento culminante e conclusivo, pur nella previsione di un ulteriore momento espositivo e di riflessione critica – con pubblicazione di un catalogo – in cui far confluire al termine della manifestazione i progetti degli interventi e alcune delle creazioni scaturitene (insieme al video realizzato sull’evento da Gabriella Cardazzo con la collaborazione di “Interno 3”).
La “Cena d’artista” coinvolge una dozzina di artisti visivi, performers, musicisti, scrittori, galleristi, architetti e collezionisti, italiani e stranieri: da Luigi Arpini a Gian Carlo Venuto (impegnato nel conferire ai suoi dipinti la golosa tridimensionalità di un dessert), da Richard Demarco a Predrag Maric (che presenterà una rivisitazione dei suoni e sapori del Fogolàr istriano), da Paolo Patelli ad Angela Weyersberg. Accanto alla deformante azione di Nata sui tessuti che rivestono la tavola, il principale intervento pittorico della serata viene affidato a Paolo Cervi Kervischer. E quanto la pittura di Cervi si sappia integrare nel clima della installazione e della vera e propria performance è ben presente a chi ricordi sue opere come Provèder (presentata nel 2001 a “Portici inattuali”), in cui l’intero ambiente era accerchiato e penetrato dalle sagome caliginose destate dal pennello, o gli eventi allestiti a Trieste nel 2002/2003 (Topkapinewyork), in cui la non separabilità della decorazione dall’evento scenico era sottolineata dalla scelta delle superfici: non solo quinte verticali, ma addirittura tappeti su cui muovere passi oltre che lo sguardo.In occasione della “Cena d’artista”, le ombre che altrove si sono stampate al suolo popolano le pareti della sala da pranzo; dilavate come gli spettri di Munch, uniscono il proprio vagare nell’Ade al destino di corpi femminili torbidamente isolati nella medesima oscurità, ma depositari di una residua, luminosa carnalità.Come già nei Corpi vaganti vacanti (2003), eros e thanatos si uniscono ancora una volta nella pittura di Cervi in uno scavo del buio interiore che sembra davvero essere condizione quotidiana della sua ricerca, nella via Belpoggio in cui cui vive e dalla quale – evidentemente – rotola ancora a mare l’ingranaggio della introspezione sveviana. È poi da imputare al clima della serata se il gioco dell’antitesi vita-morte piega necessariamente verso la sfera del cibo e l’atmosfera dionisiaca del simposio.
Da un lato luce e tenebra si rispecchiano in un coniglio bianco ed uno nero, prigionieri di due gabbie, che presenziano al “baccanale” carichi dell’aura cabalistica di quel loro simile che secondo Vettor Pisani non amava Beuys, spettatori della cerimonia culinaria alla stregua degli animali che spalancavano gli occhioni sui rituali di corteggiamento dei “giardini d’amore” del ‘400, ma anche consapevoli d’essere possibili vittime sacrificali della situazione; dall’altro minuscoli tableaux inseriti nella composizione pittorica isolano dettagli di frutti sezionati, al cui interno l’artista ricava con finto stupore rimandi visivi al microcosmo della sessualità femminile. Il sentore dell’eros – altrimenti esplicato in un piccolo monitor – si propone in una metafora che è essenzialmente sinestesia: come per Pascoli, è “profumo di fragole rosse”…
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