Spersi nella mente/Il dolore della gioia

di Marko Sosič

Contemplando questo volto di donna, sento che in esso albergano anche il suo odore e il mio ricordo. Entrambi sempre sospesi sull’orlo di un abisso. Come se questo volto si fosse improvvisamente svuotato di una gioia momentanea per saturarsi della luce di un mite dolore, in cui si agitano una folla di interrogativi e l’ansia di risposte che non esistono. Vedo intere moltitudini, in questo volto. C’è anche Liv U. La scorgo all’improvviso,  qui, uguale a com’era in un film che vidi tanto tempo fa, in solitudine, e pensai che il suo viso stesse parlando proprio a me, ai miei sogni più veri, a quelle immagini che non sono mai riuscito ad afferrare, né allora né oggi… E anche oggi, questo volto che mi ricorda Liv si rivolge ancora a questa mia impotenza, eppure nel contempo sa suscitare il mio muto desiderio di compenetrare lui e il suo invisibile corpo, i suoi pensieri inudibili, ma capaci di esprimere lo stupore di una nuova consapevolezza, permeata di quel mite dolore. Contemplo questo volto che ormai non ha più nome, e odo i pensieri che come un flusso sonoro s’insinuano in lui, riconosco i sentimenti e le passioni che dimorano in lui e che all’improvviso si rivelano frammenti del mio stesso tempo e del mio stesso ricordo.
Guardo il rossetto che si spande oltre i contorni delle labbra, come se il viso stesse dissolvendosi per un intollerabile desiderio, solitudine, paura. Guardo gli occhi luminosi, di un azzurro intenso, e vengo pervaso dall’assoluta certezza di potere scorgerne le più  intime profondità, così simili alle mie. Di poter comprendere il suo inesprimibile dolore, che  sta ormai stemperandosi nella gioia di una speranza. Questo volto è come un giorno di cui restano ormai soltanto le vestigia, chiari e sfavillanti lembi di luce in procinto di trasmutarsi in una buia notte senza sogni.  Esso reca ormai solo un tenue presentimento del corpo, aperto a chiunque e avido di contatti, di odori. Come la giovinezza. Ed ecco che a un tratto quei luminosi occhi azzurri svaniscono. Ora sono verdi.
Ora non sento più il suo corpo voglioso e aperto, che suscita in me il desiderio di fare l’amore. (Sempre e solo quando non c’è.) Ora intuisco una storia dietro quel volto, sento la vita, il dolore dell’assenza e la gioia dell’oblio che sfumano in un paesaggio carico di anelito. Intuisco le parole che traspaiono dal suo volto, frammenti di una storia ormai perduta nei miei e nei suoi pensieri…
Volti sfocati, dietro ai quali si celano le intime vicissitudini della nostra esistenza oscillante tra autenticità e menzogna, ma che soprattutto sono in grado di superare lo schermo della nostra quotidianità conscia e inconscia – sono questi i volti offertici da Paolo Cervi Kervischer, poeta-artista figurativo saldamente ancorato al proprio tempo, ma in grado di trascendere i limiti angusti del proprio spazio. Sento che attraverso la moltitudine di sguardi, attraverso la molteplicità di sentimenti espressi dalle sue opere, Paolo riversa e fonde i suoi volti in un unico e grandioso ritratto: quello dell’amore, del ricordo e dell’oblio. Come faccio io, noi, tutti… I suoi colori, intrisi di luce e oscurità che coesistono su uno stesso volto, come versati sul ciglio d’un baratro, creano le immagini fugaci e indistinte di un tempo che è anche il (mio) nostro. Ed è propria questa transitorietà - che evoca in me il passare di un treno da cui io osservi il paesaggio disseminato delle schegge dei miei ricordi, e protenda il braccio a sfiorare volti come piangenti, sospesi sopra quel baratro – a destare in me la consapevolezza dell’esistere, dell’amare e del morire.
Ma improvvisamente, al di là di quei volti, intravedo un prato e un fiume. Un paesaggio che è anch’esso parte di me. Oggi, nel mio ricordo e in questo istante.
Mais pourquoi? vedo sempre del dolore  nella gioia di una nuova scoperta? E’ la transitorietà a generare in me questo sentimento contraddittorio, o l’esistere stesso?
Contemplo il suo viso e penso che il prato sullo sfondo dev’essere ormai ricoperto di una coltre di fiori estivi. Anche di margherite. Contemplo il suo viso e penso che in qualche angolo lungo il prato lei si stia sporgendo oltre il recinto di legno, dove degli alberi da frutta svettano sopra una distesa di erba alta. Un’erba non ancora falciata, che nasconde la vista dell’abisso al di là del prato. E del mare sottostante. Vasto e blu.

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